Frankenstein (2025) di Guillermo del Toro è arrivato: Mia Goth riporta sul grande schermo un gotico di carne, sentimento e ambiguità che vale la pena rimettere a fuoco perché è la Scream Queen più influente della sua generazione. Dopo la consacrazione con Ti West e il confronto con autori come Brandon Cronenberg, Luca Guadagnino e Lars von Trier, Goth ha costruito un percorso in cui il corpo diventa racconto: la fragilità non è debolezza, ma potenza scenica; lo sguardo non supplica, sfida.
Cambia i registri senza perdere intensità – dall’arthouse alla commedia in costume – e lascia sempre l’impressione di un personaggio vissuto fino all’ultimo respiro.
Questa guida aggiorna il suo profilo in vista dell’Elizabeth immaginata da del Toro: un viaggio attraverso 10 film imperdibili che raccontano evoluzione, rischi e firme autoriali con cui ha danzato. È il modo migliore per arrivare in sala pronti a riconoscere, dentro il mito di Frankenstein, la stessa tensione tra desiderio e mostruoso che ha reso unica la sua carriera.
Pearl (2022)
Prima di diventare icona, Mia Goth diventa mito. In Pearl, prequel standalone di X, l’attrice firma una performance‑manifesto: ingenua, affamata d’amore, pronta a esplodere in un rosso technicolor che trasforma il sogno americano in incubo a lume di candela. Funziona perché Ti West usa il melodramma classico (dal Technicolor al montaggio) per farci entrare nella mente della protagonista: il famigerato monologo‑fiume è un tour de force che cementa l’aura di Goth. Questo è il capitolo che spiega la sua capacità di passare dalla tenerezza alla furia – qualità che porta anche nei progetti più ambiziosi. Consigliato a chi ama i ritratti psicologici, i villain “umani”, l’horror che vibra di colori e musica. In scia, da segnare il coming‑of‑age nero Saint Maud (2019) e il cinema‑nel‑cinema disturbante di The Neon Demon (2016).
X (2022)
Lo slasher rurale che riaccende il genere. X è un film sulla fame di visibilità e sulla demonizzazione del desiderio femminile: Goth raddoppia (senza citarlo nei consigli) e illumina tanto l’innocenza quanto l’ombra. Ti West orchestra un “grindhouse elegante” dove ogni zoom, ogni split‑diopter racconta più della parola. Rivederlo dopo l’evoluzione della carriera di Goth permette di misurare quanto sia centrale nel ridefinire lo scream‑acting contemporaneo. Perfetto per chi ama lo slasher consapevole, sporco e sexy. In parallelo, per restare sull’onda del terrore rurale senza duplicare titoli di questa top, recupera Eden Lake (2008): la natura qui non è scenario, è antagonista.
MaXXXine (2024)
Chiusura della trilogia X, ambientata in una Hollywood anni ’80 fatta di neon, VHS e coltelli dietro le quinte. Goth porta Maxine Minx al punto di fusione: ambizione e trauma si stringono in una corsa allo status dove la fama ha il sapore metallico del sangue. MaXXXine funziona per il mix tra thriller urbano e slasher da backstage, per i camei‑bomba e per una protagonista che sa rubare la scena anche quando non parla. È il capitolo che completa l’arco di uno dei personaggi horror più iconici degli ultimi anni e prepara il terreno a scelte sempre più autoriali. Indubbiamente indicato ai nostalgici dell’estetica ’80, amanti del meta‑cinema e del noir tossico. Se vuoi restare in vena Hollywood‑oscura, prova Starry Eyes (2014) o Blonde (2022): fama e corpo come campo di battaglia.
La cura dal benessere (2016)
Fiaba nera d’altri tempi: clinica alpina, vapore, acqua, e un mistero che scivola dal gotico al body horror. In La cura dal benessere Mia Goth è Hannah, apparizione sospesa tra innocenza e minaccia; la sua fisicità eterea infila spine nel velluto della messinscena di Verbinski. Il film divide, ma ha un fascino decadente e una coerenza sensoriale rara nel mainstream. In vista di Frankenstein, è utile riguardare come Goth modula l’ambiguità in spazi “curati” e rituali. Perfetto per chi ama atmosfere ottocentesche rilette in chiave pop‑decadente. Se ti intriga il sanatorio come teatro del corpo, allarga a La pelle che abito (2011) e Apostolo (2018): due filiere diverse di controllo e descrizione del corpo.
Piscina infinita (Infinity Pool, 2023)
Con Piscina infinita l’attrice abita un parco giochi dell’orrore morale: turismo del trauma, cloni come scappatoie, una risata che fa più paura del coltello. Goth è una sirena tossica, performance magnetica che vira dal seduttivo al mostruoso in un gesto. Il film ragiona su privilegio e impunità con invenzioni visive disturbanti. Questo film mostra quanto Goth sappia spingersi oltre il limite senza perdere controllo – chiave per ruoli estremi. Il pubblico di riferimento è chi cerca un body‑horror concettuale e satire sociali cattive. In scia, itinerari affini Possessor (2020) e Hard Candy (2005): identità come maschera e desiderio che taglia come un rasoio.
Suspiria (2018)
Nel remake Suspiria di Luca Guadagnino, Goth è Sara: curiosità, fragilità, coraggio – una bussola emotiva che ci guida nel labirinto della Markos Tanzgruppe. Lontano dal plagio, il film reinventa Argento virando su corpo, politica e maternità stregonesca: l’orrore è una danza di appartenenza e rottura. È un tassello che anticipa la vocazione di Goth a stare dentro universi autoriali forti senza perdere intensità. Un film per chi ama rituali, corpi in trasformazione, cinema che spacca e divide. Per restare in tema “accademia più inquietudine” senza duplicare titoli, guarda Black Swan (2010) o The Perfection (2018): disciplina come possessione.
Nymphomaniac: Vol. II (2013)
Nymphomaniac: Vol. II segna l’esordio al cinema: Goth è P, presenza laterale eppure fondamentale nel dispositivo di Lars von Trier. Porta una vulnerabilità che non chiede sconti, in un film che interroga desiderio e colpa con crudezza. Non tutto funziona, ma è qui che si intuisce la sua capacità di abitare il disagio senza ammiccare. Un’interpretazione ottima per vedere l’origine di un percorso in cui il corpo non è mai oggetto, ma campo di senso. In parallelo, per ragionare su eros e violenza con intelligenza, segnati Elle (2016) e Shortbus (2006): sponde diversissime che condividono libertà di sguardo.
Emma. (2020)
Nella Emma. pastello e geometrica di Autumn de Wilde, la sua Harriet Smith è goffa e affettuosa ma mai sciocca: un cuore ingenuo che costringe la protagonista (Anya Taylor‑Joy) a guardarsi allo specchio. Mia Goth lavora di micro‑gesti – un mezzo sorriso che cede, uno sguardo che indugia, una pausa che fa scoppiare la risata – e di tempo comico calibrato sul movimento di macchina e sul ritmo musicale (quelle danze, quelle entrate in scena!). Il film funziona anche perché la regia la lascia respirare tra una frecciata di Emma e un sospiro di Mr. Woodhouse (Bill Nighy), trasformando Harriet in un barometro emotivo: capiamo la crudeltà sociale dell’etichetta proprio attraverso il suo candore. Per restare nella scia della commedia d’epoca con punte dark, spostati verso The Favourite (2018) di Yorgos Lanthimos o Love & Friendship (2016) di Whit Stillman: stessi costumi, più veleno e lo stesso cuore pulsante.
High Life (2018)
Nel viaggio spaziale e sensuale di Claire Denis con High Life, Goth è Boyse: animale inquieto che vive il corpo come mezzo e interrogativo. Il film è un’esperienza di vibrazioni, silenzi, fluidi: fantascienza carnale e filosofica che usa l’astronave come claustrofobia metafisica. Una pellicola che traccia la disponibilità di Goth a rischiare in territori radicali – qualità che la rende perfetta per progetti visionari. Consigliato sicuramente per chi cerca sci‑fi d’autore, lento, perturbante. In scia, rotta doppia Under the Skin (2013) e Annihilation (2018): esplorazioni del corpo alieno e dell’auto‑distruzione come metamorfosi.
Marrowbone (2017)
Marrowbone gotico domestico spagnolo‑britannico: quattro fratelli, una casa piena di segreti, il fantasma della madre e un paese che osserva. Goth è Jane, presenza che introduce luce e sospetto; la sua dolcezza è una lama lieve che taglia la fiaba. Il film mischia coming‑of‑age e ghost story con twist emotivi più che pirotecnici. È la prova che l’attrice sa sostenere anche ruoli di sostegno in ensemble corali, portando gravità emotiva. Consigliato per chi ama gli horror atmosferici più che urlati. Per allargare il percorso “casa‑trauma” senza ripetere titoli della top, prova The Orphanage (2007) o The Others (2001): il brivido viene dai muri.

































































































