Con due nuovi titoli in arrivo nel 2025 – il romance storico The History of Sound e il dramma elisabettiano Hamnet – Paul Mescal conferma di essere uno dei volti più interessanti del cinema contemporaneo. Dopo l’esplosione con Normal People (2020), ha alternato arthouse e mainstream con naturalezza, passando dall’intimità strappacuore di Aftersun alla fantascienza psicologica di Foe, fino al kolossal Il Gladiatore II (2024).
Il filo rosso è sempre lo stesso: corpi vulnerabili, desideri in conflitto, un’onestà emotiva che buca lo schermo. In attesa di vederlo cantare, amare e soffrire tra New England, Stratford‑upon‑Avon e Roma, ecco dieci titoli imperdibili (film e serie) per capire come Paul Mescal costruisce personaggi che restano addosso.
Normal People (2020)
In Normal People c’è il ruolo che lo ha rivelato al mondo: Connell Waldron, ragazzo di provincia diviso tra timidezza e desiderio, in una relazione magnetica e imperfetta con Marianne (Daisy Edgar‑Jones). La serie di Lenny Abrahamson e Hettie Macdonald trova la verità nei dettagli – un braccialetto, un messaggio non inviato, un abbraccio tardivo – e Mescal pratica un’interpretazione a sottrazione: ogni pausa è una frattura che si apre. Funziona perché rifiuta l’idealizzazione del romance e abbraccia il caos del diventare adulti. È il DNA di tutto ciò che farà dopo – mascolinità fragile, intimità fisica come linguaggio. Piacerà a chi cerca storie d’amore che fanno male e bene insieme. In scia, restando nell’universo Rooney, il disincanto di Conversations with Friends (2022).
Aftersun (2022)
Padre e figlia in vacanza, un camcorder, la luce che si spezza a fine giornata: Charlotte Wells firma con Aftersun un esordio devastante e Mescal offre una performance che sembra vissuta, non recitata. Come Calum, giovane padre che oscilla tra tenerezza e oscurità, costruisce un ritratto di depressione senza didascalie, fatto di microsegnali e silenzi. Il film è una scatola di ricordi che si apre a ritroso e lascia un’eco lunga. Questa è la prova che ha convinto i grandi autori ad affidargli ruoli più rischiosi; definisce il suo statuto di interprete empatico. Consigliato per chi ama il cinema delle piccole epifanie e del dolore sottopelle. In affinità, i coming‑of‑age intimi di The Florida Project (2017) e Close (2022).
Estranei (2023)
Con Estranei, Paul Mescal e Andrew Scott portano in scena una love story fantasmagorica che parla di lutto, desiderio, immaginazione. È un film di appartamenti e apparizioni, dove l’amore è una stanza che si apre tra passato e presente. Mescal sceglie il basso continuo emotivo: poche note, tutte giuste, che amplificano l’arco di Scott. Funziona perché è cinema queer adulto, capace di unire sguardo intimo e ambizione poetica, e perché non scambia mai l’angoscia per posa. Una tappa fondamentale nella costruzione della sua credibilità drammatica internazionale. Per chi ama i melodrammi soprannaturali su identità e memoria, questo film lascerà una cicatrice su cui vorrete spargere sale ancora, ancora e ancora. In scia, il lirismo urbano di Weekend (2011) e il pudore magico di Past Lives (2023) potrebbe comunque lasciarvi senza parole.
The Lost Daughter (2021)
In The Lost Daughter, debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal, Mescal è una presenza laterale ma generosa: un bagnino che intercetta i corridoi emotivi del personaggio di Olivia Colman senza rubarle mai il fuoco. Il film ragiona sulla maternità non detta e sulle colpe che non passano, con una regia che ama i bordi, i margini, gli oggetti che parlano. Un ruolo che è la dimostrazione che l’attore sa stare anche in disparte dentro cast di livello, qualità che i grandi registi cercano, ma senza sparire. Piacerà a chi ama drammi psicologici sfumati e interpretazioni che si incastrano come tessere. Da vedere in accoppiata con il ritratto notturno di Pieces of a Woman (2020) per affinità tematica.
Carmen (2023)
Carmen, l’esordio di Benjamin Millepied, è un melodramma danzante e sensoriale: deserti, notti di frontiera, corpi che diventano coreografia. Mescal interpreta Aidan, reduce inquieto che si perde e si ritrova nell’amore per Carmen (Melissa Barrera). Non è un’“opera” tradizionale: è un sogno musicale che rimescola mito e contemporaneo. Qui Paul Mescal mostra la sua versatilità fisica e la disponibilità a rischiare in progetti formali. Consigliato a chi cerca cinema emotivo, ibrido, dove musica e gesto raccontano più delle parole. In risonanza, l’energia di Drive (2011) e la danza ferita di Climax (2018).
Il nemico (2023)
In Il nemico Mescal, con Saoirse Ronan, affronta una coppia al confine tra reale e artificiale: deserto, siccità, cloni e un matrimonio che scricchiola. Garth Davis costruisce un dramma sci‑fi claustrofobico, e Mescal lavora sui micromovimenti della gelosia e dell’impotenza, restando credibile anche quando la trama si fa allegorica. Pellicola utile per leggere quanto l’attore regga universi high‑concept senza appoggiarsi all’action. Per chi ama fantascienza emotiva e chamber pieces inquieti, una visione consigliata e interessante. In parallelo segnaliamo, la coppia disturbata di Possession (1981) e le domande identitarie di Non lasciarmi (2010).
God’s Creatures (2022)
God’s Creatures è il ritorno in Irlanda per un dramma di mare e colpa: una madre (straordinaria Emily Watson) protegge il figlio oltre il dicibile, e la comunità si spacca. Mescal interpreta Brian senza giudizio, lavorando su charme e opacità. Il film ha la bellezza ruvida dello slow‑burn atlantico: vento, nebbia, sussurri. Un tassello importante nella costruzione di personaggi moralmente ambigui, terreno fertile per i ruoli d’autore. Consigliato per chi frequenta i drammi rurali britannici e irlandesi. In scia, i conflitti comunitari di The Shadow of Violence (2020) e l’oceano come coscienza in Bait (2019).
Il Gladiatore II (2024)
Mescal entra nel pantheon pop del Il Gladiatore II nei panni di Lucio, adulto e disilluso: onore e vendetta in un’arena che oggi è anche allegoria mediatica. Ridley Scott aggiorna il mito puntando su spettacolo tattile e duelli che cercano il peso del corpo prima della CGI. L’attore regge il kolossal senza perdere umanità: la rabbia non cancella la vulnerabilità. Pellicola che possiamo considerare ponte tra la fase indie e l’accesso all’A‑list globale. A chi vuole epica con attori veri al centro, questo è il film perfetto. In risonanza, gli eroi stanchi di Le Crociate (2005) e la violenza intima di The Northman (2022).
The History of Sound (2025)
Diretto da Oliver Hermanus, The History of Sound è un romance d’epoca che segue Lionel (Mescal) e David (Josh O’Connor) tra conservatori, guerra e un viaggio d’inverno nel Maine per registrare canti popolari. È un film di suoni e assenze, dove la memoria diventa musica. Mescal attraversa decenni emotivi con misura: desiderio trattenuto, colpa, tenerezza; una prova di maturità che dialoga con i suoi ruoli più intimi ma li porta nella storia. Arriva dopo il trionfo internazionale – e le discussioni – dei festival, e mostra un attore al massimo controllo. Visione consigliata a chi cerca melodrammi queer eleganti e contemplativi. In scia, i duetti sospesi di Ritratto della giovane in fiamme (2019) e il canto della memoria in Brooklyn (2015).
Hamnet (2025)
Chloé Zhao adatta l’Hamnet di Maggie O’Farrell e sceglie Mescal come William Shakespeare accanto a Jessie Buckley (Agnes). Non è biopic da museo: è un dramma sulla vita privata dell’autore e sul lutto che genera arte. Mescal attraversa il tempo con dolcezza e furia, evitando il monumento e cercando l’uomo che impara a nominare il dolore. Indubbiamente uno dei titoli più attesi dell’anno, tra festival e uscite internazionali, perfetto per misurare la sua tenuta da protagonista in progetti prestigiosi. A chi ama i period drama emotivi, le storie di coppia scolpite nel tempo e la musica di Max Richter (qui in stato di grazia). In affinità, le anatomie del lutto di A Ghost Story (2017) e The Eternal Daughter (2022).
































































































