Negli anni ‘90 c’erano le risate di Friends (1994), l’inquietudine di Twin Peaks (1990), l’arrivo dei teen drama con Dawson’s Creek (1998) o ancor prima di Beverly Hills 90210 (1990). Gli anni ‘2000, con le gangster stories de I Soprano (1999), The Wire (2002), o Breaking Bad (2008).
Poi sono arrivati gli anni dieci, con titoli hollywoodiani a tutti gli effetti e serie maestose come House of Cards (2013) o Game of Thrones (2011). Ma è nella seconda metà di questo decennio che il gioco è cambiato una volta per tutte, con l’affermarsi definitivo dello streaming, Netflix in primis, seguita poi dai grandi colossi lanciati da Disney, Amazon o Apple.
Un mercato da miliardi di dollari, che ha spinto le piattaforme a espandersi sempre di più, fino a prodursi le serie “in casa”. E se il primo grande esempio rimane Black Mirror (inizialmente prodotto da Channel 4, nel 2015 acquisito da Netflix), è nel 2016 con Stranger Things che la casa del tu-dum ha iniziato a mostrare i muscoli, a far vedere che anche le piattaforme potevano dar vita a produzioni monstre. “Si può fare!” avrà gridato qualcuno nel quartier generale di Los Gatos in California.
Con la storia di Undici, Mike e soci, Netflix ha creato la serie che più di altre è riuscita a rapire gli spettatori, a spostare definitivamente lo sguardo dal grande al piccolo schermo on-demand. Il titolo che ha definito la serialità contemporanea. Quasi paradosso, a pensarci bene, perché nonostante il ritmo della serie, ultra-contemporaneo, Stranger Things è allo stesso un viaggio nell’iconografia degli anni Ottanta.
I Duffer Brothers hanno costruito Hawkins come un archivio vivente di film, serie, musica e letteratura, un luogo dove convivono la meraviglia di Spielberg, il terrore di Carpenter e le inquietudini di Stephen King. Un racconto che non si limita alla nostalgia, ma che rielabora quelle atmosfere, restituendo ai nuovi spettatori la magia di un’epoca d’oro del cinema.
Ora che Stranger Things si prepara alla quinta e ultima stagione, il cerchio si chiude. La serie che ha ridefinito la cultura pop e riportato sugli schermi un immaginario “lontano” si congeda dal pubblico che l’ha seguita per quasi un decennio. Un buon momento per tornare alle origini, riscoprendo alcuni dei film che l’hanno ispirata e che ancora oggi pulsano sotto la superficie dell’Upside Down.
Star Wars
La Forza è potente a Hawkins. I poster sulle pareti delle camerette dei protagonisti, i loro giocattoli, le citazioni a non finire tra Lando e R2-D2: i rimandi alla “galassia lontana lontana” sono tantissimi. Lo stesso Mike paragona Undici a Yoda, Dustin prova a farle sollevare un modellino di Millennium Falcon con la forza del pensiero, in una scena che prende a piene mani dall’addestramento Jedi di Luke Skywalker. È proprio il percorso di Eleven, infatti, il richiamo più evidente alla saga di Lucas. Un padre che diventa nemico da sconfiggere, il duello interiore per controllare il potere che scorre dentro di lei, continuamente in sospeso tra luce e ombra, tra pericolo e salvezza. Star Wars (1977) è la leggenda cinematografica dietro ogni titolo sci-fi che si rispetti, e Stranger Things non fa eccezione.
E.T. – L’extra-terrestre
Tra tutti gli easter eggs presenti nella serie, E.T. (1982) è probabilmente uno dei più evidenti. Il bambino che nasconde un essere misterioso nello scantinato, un gruppo di scienziati malvagi disposti a tutto per rinchiuderlo in laboratorio, l’amicizia indissolubile tra il protagonista e il piccolo alieno. E ancora, l’immagine dei ragazzi in bici che sfrecciano (e volano) nel buio, il costume di Halloween indossato da Undici, il modo in cui Mike le mostra i propri giocattoli, tutto viene dal capolavoro di Spielberg. I Duffer Brothers riprendono quella sensibilità, quella storia di un'amicizia “impossibile”, e la mettono tutta dentro Stranger Things. Il nucleo emotivo della serie è tutto qui, sull’altro come amico e non come un mostro che spaventa.
I Goonies
Una cosa è certa, la serie di Netflix non esisterebbe senza I Goonies (1985). La banda di ragazzini ‘outsider’ che parte per un’avventura guidati da una mappa a dir poco improvvisata, diretti verso un mondo sotterraneo e una verità nascosta che nessun adulto sembra in grado di vedere. La loro unica certezza e l’amicizia che li lega. Mike, Dustin, Lucas e Will sembrano presi direttamente dal film di Richard Donner, le dinamiche del gruppo sono le stesse di Mikey, Chunk, Mouth e Data. Ma l’omaggio più evidente è l’arrivo di Sean Astin, l’indimenticabile Mikey che torna in Stranger Things nei panni di Bob, volto onesto e un po’ impacciato, il tipo di adulto che i Goonies sarebbero potuti diventare.
Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977)
Il legame tra Stranger Things e Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) è più sottile, ma non sarà certamente sfuggito ai fan di Spielberg. Infatti, se da una parte Roy Neary diventa ossessionato da un segnale misterioso che solo lui sembra percepire, nella serie dei Duffer Brothers, Joyce Byers vive la stessa situazione quando capisce che le luci di casa stanno comunicando con suo figlio intrappolato nel Sottosopra. A Hawkins le lettere dipinte sul muro, nel Wyoming la riproduzione della Torre del Diavolo costruita in salotto. Entrambi i personaggi vengono guardati come fossero impazziti, fraintesi da chi li circonda, ma ostinati verso quel segnale, verso l’intuizione che qualcosa di “altro” là fuori, o là sotto, stia cercando un contatto.
Ghostbusters
L’omaggio a Ghostbusters (1984) è uno dei più riconoscibili e teneri dell’intera serie. All’inizio della seconda stagione, è Halloween del 1984 e Mike, Lucas, Dustin e Will arrivano a scuola vestiti come gli acchiappafantasmi, con tute beige e zaini protonici costruiti in garage. Il riferimento è un colpo di genio, dato che il film di Ivan Reitman era uscito pochi mesi prima, divenendo un instant classic del genere sci-fi comedy. Il tipo di film che quattro piccoli nerd appassionati del paranormale avrebbero sicuramente trasformato in un costume di gruppo. Una scena che prende il cuore, con i quattro che arrivano a scuola fieri dei loro costumi fatti in casa, ma la reazione della classe è fredda, ed è quello il momento in cui capiscono di non essere più dei bambini.
Poltergeist
Per capire casa Byers il riferimento è uno soltanto, Poltergeist (1982). Una villetta americana come le altre, finché le luci non iniziano ad accendersi da sole, le pareti a deformarsi, suoni provenienti da un’altra dimensione in cui è stata imprigionata la piccola della famiglia. Le stesse immagini, seppur con qualche differenza, vengono riprese in Stranger Things, dove la casa della famiglia Byers diventa un ponte verso un mondo popolato da mostri e presenze inquietanti, con Will che cerca di comunicare attraverso le luci per scappare dalla sua prigione. Dal film di Tobe Hooper sono riprese le stesse atmosfere inquietanti, la casa trasformata da luogo che protegge a portale minaccioso aperto verso un luogo mostruoso. Su questo parallelismo gioca l’intera prima stagione.
La Cosa
La Cosa (1982) è il riferimento che più ha influenzato il modo in cui Stranger Things rappresenta l’orrore. Nel capolavoro di John Carpenter la creatura non ha una forma definibile, ma imita gli esseri umani, si deforma, è indistinguibile dalle persone, ed è qui che sta il terrore. Lo stesso meccanismo torna nella serie con il Mind Flayer e con i “Flayed”, persone controllate dall’interno e completamente svuotate, richiamo evidente a un altro cult come L’invasione degli ultracorpi (1956). Lo stesso design ideato per il Demogorgone, con la testa che si apre in più strati, ricorda molto le trasformazioni create da Rob Bottin con i suoi effetti speciali a cui i Duffer, nonostante il largo utilizzo del digitale, hanno voluto rendere omaggio.
Fenomeni paranormali incontrollabili
Firestarter (1984) è probabilmente il riferimento più diretto per capire l’origine di Undici. Nel film tratto dal romanzo di Stephen King, una bambina con poteri psichici cresce all’interno di un programma governativo che vuole trasformarla in un’arma. Le somiglianze sono ovvie: esperimenti di telecinesi fatti sui bambini sacrificati come cavie, l’infanzia costretta tra le pareti asettiche di un laboratorio, addirittura il sangue dal naso della protagonista, quando il suo potere supera il limite. Stranger Things riprende questa struttura e la amplia. Come Charlie nel film, Eleven non ha scelto i suoi poteri, li subisce e ne ha paura. L’idea stessa di essere identificata con un numero e non con un nome è un’eredità diretta. Ma la serie introduce qualcosa di diverso, un lato più umano e luminoso: la possibilità per Undici di trovare una famiglia e di costruire la propria identità fuori dal laboratorio.
Alien
Anche se Alien (1979) non viene citato apertamente come altri titoli in questa lista, la sua impronta estetica è comunque evidente in tutto ciò che riguarda il Sottosopra. Nel film di Ridley Scott, la nave Nostromo diventa il “nido” dello Xenomorfo, tra pareti ricoperte di sostanze organiche, uova, e quel verso inimitabile, che ha fatto la storia del cinema horror fantascientifico. L’Upside Down riprende questa atmosfera quasi alla lettera, costruendo un ambiente minaccioso e oscuro, che respira e reagisce come un organismo unico. Lo stesso Demogorgone richiama le creature disegnate da H.R. Giger, sia nella struttura che (soprattutto) nel suo modo di cacciare. Come in Alien anche in Stranger Things la tensione nasce dal sentimento claustrofobico per cui il mostro non è uno solo, ma un ecosistema intero.
Akira
Dal Giappone arriva il riferimento forse più sorprendente. Akira (1988) di Katsuhiro Ōtomo è un capolavoro che ha ridefinito la fantascienza animata, le sue tracce si sentono ovunque in Stranger Things. Esperimenti di telecinesi, bambini con numeri al posto dei nomi, poteri che sfuggono al controllo; la storia di Tetsuo e Kaneda è un riflesso di Eleven e dei laboratori di Hawkins in cui è rinchiusa. Come Tetsuo teme di diventare qualcosa che non comprende, Eleven vive lo stesso conflitto, tra paura di sé e l’esigenza di trovare il proprio posto nel mondo. L’estetica cambia, ma la struttura emotiva è la stessa. È il riferimento che dà a Stranger Things uno sguardo più ampio, meno nostalgico, capace di intrecciare il cinema americano degli anni ’80 con le ossessioni della fantascienza giapponese.
































































































