A Venezia 82 ha presentato i primi due episodi di Portobello (2025), serie TV dedicata al caso giudiziario di Enzo Tortora che vedremo su HBO Max nel 2026. E, senza paura di venire smentiti, possiamo affermare che all'età di 85 anni Marco Bellocchio è ancora lo sguardo più lucido del cinema italiano.
L'unico, insieme a Marco Tullio Giordana, a saper raccontare il nostro Paese ed eventi cruciali della nostra Storia contemporanea con una limpidezza di pensiero rara da fare invidia a tanti colleghi.
JustWatch ha stilato la classifica dei migliori film e serie TV di Marco Bellocchio da (ri)vedere!
9. Fai bei sogni (2016)
Con Fai bei sogni, Marco Bellocchio ci regala uno dei finali più belli e struggenti del cinema italiano degli ultimi 20 anni. Lo fa partendo dal romanzo omonimo e autobiografico di Massimo Gramellini che segue la vita dell'autore, un giornalista con il volto di Valerio Mastandrea che, dopo la misteriosa morte della madre quando era bambino, convive con un dolore irrisolto.
Se nel suo esordio al lungometraggio con I pugni in tasca, Bellocchio uccide la figura materna, qui in un certo senso la fa rivivere attraverso i flashback del passato del protagonista che cerca di trovare una risposta alle domande che si pone da tutta la vita. Un viaggio interiore in cui, per 131 minuti, il regista affronta il tema del lutto – come farà in modo ancora più diretto e personale in Marx può attendere - intrecciato a un seme di speranza. Una delle opere più emozionanti della filmografia di Bellocchio da vedere se hai apprezzato Lei mi parla ancora (2021) e Ride (2018).
8. L’ora di religione (2002)
Un film spiazzante che, all'epoca dell'uscita, suscitò una forte reazione indignata da parte della comunità cattolica italiana. Il motivo è un'imprecazione pronunciata da uno dei personaggi. Scelta che Bellocchio ha sempre difeso. Non da considerare come una blasfemia, dunque, ma come l'espressione di una profonda disperazione del personaggio.
Il film segue Ernesto (Sergio Castellitto), illustratore di favole discendente da una famiglia blasonata ma caduta in disgrazia. L'uomo scopre, sgomento, che i familiari vorrebbero riacquistare prestigio grazie alla beatificazione di sua madre. Attraverso questa storia Bellocchio, in un'ora e 40 minuti, affronta tematiche care al suo cinema, dalla fede alla famiglia, svelando l'ipocrisia che ci guida come singoli e come società. Se lo sguardo del regista sull'ingerenza della religione nella vita degli esseri umani raccontata in Rapito ti ha affascinato, puoi recuperare questa pellicola del 2002.
7. Sbatti il mostro in prima pagina (1972)
Un film dalla forza premonitrice impressionante. Sbatti il mostro in prima pagina, ambientato durante gli anni di piombo a Milano, vede Gian Maria Volontè – in una prova magistrale - vestire i panni di Giancarlo Bizanti, redattore capo di un giornale conservatore che, su volere della proprietà del quotidiano, sfrutta le indagini di un omicidio per fini politici, provando a incastrare un giovane militante di sinistra.
Una pellicola che, nell'epoca delle fake news e di un giornalismo sempre più di parte, appare più attuale che mai nella sua denuncia della manipolazione dei media come strumento di propaganda. Se ami il cinema sociale come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in paradiso (1971) e Le mani sulla città (1963), amerai anche Sbatti il mostro in prima pagina.
6. Marx può aspettare (2021)
Il lavoro più intimo e personale di tutta la filmografia di Marco Bellocchio. Se nei film di finzione i riferimenti alla sua vita sono stati filtrati attraverso il racconto cinematografico, con Marx può aspettare il regista si confronta direttamente con Camillo, il fratello gemello morto suicida nel 1968.
Un'opera struggente e lucida, un'analisi sul senso di colpa che lo ha accompagnato tutta la vita e che ha cercato di esorcizzare attraverso le storie portate sullo schermo. Ma anche 97 minuti di confronto, dove il regista riunisce tutta la sua famiglia per guardare a ritroso alla loro storia e mettere sul tavolo rimpianti e dolore mentre riflette su come l'arte possa contribuire ad alleviarli. Da recuperare se hai amato Gli occhi, la bocca (1982), in cui Bellocchio racconta proprio la storia di due fratelli gemelli e un suicidio.
5. Buongiorno, notte (2003)
Raccontare la prigionia di Aldo Moro sequestrato dalle Brigate Rosse e immaginarne un finale diverso per una storia che conosciamo tutti. Con Buongiorno, notte, Bellocchio affronta una delle ferite più profonde della storia italiana con un punto di vista del tutto inedito.
Lascia da parte la fredda cronaca degli eventi e ci porta nel covo dove era rinchiuso il fondatore della Democrazia Cristiana (Roberto Herlitzka) mostrandoci il dramma dello statista e il dubbio vissuto da una delle brigatiste (Maya Sansa) disarmata dall'umanità di Moro. Un'ora e 46 minuti in cui Bellocchio fotografa le insidie delle ideologie, mentre racconta gli anni di piombo dall'interno aprendo a un barlume di speranza regalato da un finale emozionante e inatteso. Se hai visto il film/serieEsterno notte in cui il regista ritorna sul rapimento Moro analizzandolo da un'altra prospettiva, non puoi perderti il film del 2003.
4. Rapito (2023)
Con Rapito Marco Bellocchio torna a confrontarsi ancora una volta con la religione e la sua intromissione nel privato delle persone. Lo fa portando sullo schermo la vera storia del piccolo Edgardo Mortara che già Spielberg avrebbe voluto trasformare in un film. Un bambino ebreo di sei anni, battezzato di nascosto da una domestica, strappato alla sua famiglia nel 1858 per essere cresciuto come cattolico sotto la custodia di Papa Pio IX.
Un dramma in costume dalla forte potenza emotiva e visiva arricchito dalle grandi interpretazioni di Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni e Fausto Russo Alesi e Paolo Pierobon. Un'opera maestosa che, in 134 minuti, ci lascia interdetti e si interroga sul rapporto tra fede e (stra)potere, identità e famiglia. Da non perdere se ami i film incentrati su complesse storie vere come Il signore delle formiche (2022) di Gianni Amelio.
3. Il traditore (2019)
Una delle più riuscite interpretazioni di Pierfrancesco Favino per uno dei più riusciti film di Marco Bellocchio. Con Il traditore, il regista ricostruisce la storia di Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia che ha portato a galla molti segreti di Cosa Nostra. Belocchio ne racconta la scissione psicologica, diviso tra il suo legame con la famiglia criminale e la necessità di allontanarsene.
Nel farlo ricostruisce in modo minuzioso il maxiprocesso nell'aula-bunker di Palermo e ci regala sequenze oniriche dal forte impatto visivo. Favino, dal canto suo, dà vita a un'interpretazione complessa e stratificata grazie alla quale vedere un po' più da vicino un mondo fatto di regole e rituali dal retrogusto ancestrale. Due ore e 25 minuti di puro cinema che Bellocchio governa con mano e sguardo fermi. Da vedere se hai apprezzato Il pentito (1985),La trattativa (2014) eIddu – L'ultimo padrino (2024).
2. Esterno notte (2022)
Un film diviso in due parti o una serie di sei episodi da 344 minuti complessivi. Poco importano le etichette. L'unica cosa certa è che Esterno notte è una delle opere più importanti di tutta la filmografia di Marco Bellocchio. Quasi 20 anni dopo Buongiorno, notte, il regista torna a parlare del rapimento di Aldo Moro. Questa volta, però, lo sguardo è più ampio e non si limita a raccontare la prigionia e il rapporto del politico con i suoi carcerieri brigatisti.
Questa volta Bellocchio apre anche a tutti i protagonisti della scena politica di questi giorni e ai familiari del giurista interpretato da uno straordinario Fabrizio Gifuni. Così facendo ci restituisce un ritratto umano sfaccettato in cui tragedia e grottesco si mescolano e raccontano di un Paese senza più riferimenti. Una visione obbligatoria a cui accostare anche la pellicola del 2023.
1. I pugni in tasca (1965)
Debutto al lungometraggio per il ventiseienne Marco Bellocchio che con I pugni in tasca manda all'aria l'idea buonista di famiglia in 105 minuti. Lo fa raccontando la storia di quattro fratelli e la loro anziana madre cieca. Tra di loro Alessandro, interpretato da Lou Castel, che medita di uccidere i suoi familiari per permettere al maggiore di loro di vivere una vita serena senza doversi prendere cura delle loro esigenze.
Un film provocatorio e crudo che all'epoca fece scalpore e con il quale il regista mette a nudo tutta l'ipocrisia borghese a lui contemporanea. Anche dal punto di vista cinematografico, la pellicola è di rottura nei confronti del cinema che l'ha preceduto e al suo interno è ricca dei temi che Bellocchio affronterà nelle sue opere successive, come in Marx può aspettare e L'ora di religione.


































































































